di Adriana Lodi, parlamentare PCI per sei legislature, ex sindacalista e assessore a Bologna nella giunta Dozza
UN PICCOLO necrologio pubblicato da Repubblica il 15 luglio u.s. annunciava la scomparsa di un grande sindacalista bolognese, Arvedo Forni. Questa notizia ha messo in moto una serie di telefonate fra vecchi compagni e amici che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui e tutti hanno chiesto di non far cadere nel dimenticatoio figure così significative per il movimento sindacale.
In poche righe è difficile raccontare, scegliere episodi significativi di una vita politica così lunga e intensa. Forni è morto a 95 anni, ma fin da ragazzino fu un militante antifascista e già nel 1944 cominciò il suo lungo cammino di sindacalista, prima come segretario della Camera del Lavoro di Persiceto, poi come stimato dirigente della Federterra di Bologna. In quella veste già nel 1946 sperimenta la prima grande consultazione con i lavoratori. Nel corso di decine di assemblee tenute con i braccianti elabora con loro la prima piattaforma rivendicativa del dopoguerra, piena di tutto: dai livelli salariali agli orari di lavoro estivi e invernali, alle norme per il collocamento.
In quella piattaforma era contenuta persino una norma, sia pure generica, sulla parità di salario fra donne e uomini e il primo timido avvio di una rivendicazione che diverrà sempre più pressante per il pagamento degli asili per i figli delle mondine da parte degli agrari.
Per lungo tempo Arvedo Forni è stato segretario generale della Camera Confederale del Lavoro di Bologna, poi è passato alla segreteria nazionale della CGIL di Roma, quindi allo SPI per poi divenire vice-presidente dell’INPS Nazionale. Forni, insieme a Luciano Romagnoli (un altro illustre sindacalista bolognese) va ricordato come uno dei pochi dirigenti sindacali del secolo scorso che hanno cercato di dare gambe al famoso piano del lavoro della Cgil.
Ciò avvenne attraverso la mobilitazione dei disoccupati, che occuparono pacificamente per alcuni mesi sia d’estate che d’inverno le aree che erano state individuate per la costruzione delle future opere pubbliche e attraverso gli scioperi a rovescio attuati da braccianti senza lavoro in varie zone dell’Emilia, con l’obiettivo di mantenere ed arricchire questa bellissima zona irrigua dell’Emilia. Due esempi dei risultati di questo impegno innovativo del Sindacato sono sotto gli occhi di tutti: l’Ospedale Maggiore di Bologna ottenuto dopo mesi di occupazione pacifica dei Prati di Caprara e il Canale Emiliano Romagnolo ottenuto attraverso un ridisegno attento delle opere di bonifica da fare.