Se dovessi individuare alcune principali linee guida che hanno accompagnato, dall’Ottocento ad oggi, la storia dell’emancipazione femminile, a cosa penseresti?
Il percorso di emancipazione dall’Ottocento a oggi è stato straordinario, intenso e ha assolutamente cambiato la condizione delle donne. Utile rammentarlo in un’epoca in cui la crescita della diseguaglianza è anche arretramento rispetto alle conquiste fatte. Scorrendo i titoli innanzitutto penso all’istruzione, all’uguaglianza nell’istruzione scolastica, un processo lungo nel tempo, ma che si è andato affermando. Poi alla tutela della maternità, uno dei temi che oggi subiscono un arretramento perché perde la sua universalità con la precarizzazione del mercato del lavoro. Infine, all’affermarsi delle donne come persone, dal diritto di famiglia al riconoscimento della violenza contro le donne come reato contro la persona e non contro la morale.
In una situazione così difficile e in rapido divenire, cosa si potrebbe fare oggi per migliorare la condizione in cui versano le donne nella società, quali, a tuo parere le priorità?
La priorità è il lavoro, comunque la si guardi; non si esce da questa crisi che incrocia la crisi mondiale europea con quella strutturale del nostro Paese se non si parte dal lavoro, dal crearlo e dal difenderlo, dal dare risposte alle tante lavoratrici che hanno investito sul lavoro e sulla loro autodeterminazione, che hanno progettato e investito a partire dagli studi, per un loro futuro nel lavoro. Le tante lavoratrici precarie o quelle costrette ad uscire dal lavoro dopo la maternità, e sempre più anche le lavoratrici che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro dopo la crisi dell’azienda in cui lavoravano. Serve decidere che quanto viene spesso detto, che il lavoro femminile è un moltiplicatore di occupazioni, si attui. Da subito servono due politiche: incentivi alle assunzioni stabili e servizi, da quelli per l’infanzia alla cura e all’assistenza. Nell’orizzonte più lungo, politiche di creazione del lavoro, come proponiamo nel piano del lavoro
Le politiche attuali di austerity, i tagli al welfare e la crisi nel mondo del lavoro colpiscono soprattutto le categorie “deboli”. In questo contesto come si va collocando la Cgil?
Abbiamo contrastato e continueremo a contrastare, se si riproponessero, le logiche cieche di rigore dei tagli lineari dell’intervento pubblico. Hanno dimostrato non solo la loro iniquità ma anche la loro fallacia e inefficacia anche rispetto al debito pubblico. È la grande scommessa di questa stagione, i modelli che rimpiangono il mercato che determina tutto sono sostenitori della cancellazione dell’intervento pubblico, della riduzione del welfare, c’era chi proponeva la logica caritatevole invece che un compiuto sistema di welfare e protezione. Al contrario noi pensiamo che bisogna qualificare il welfare a partire dal principio di universalità.
Susanna Camusso, da donna e madre, come vede il futuro per le nuove generazioni di donne? Quali i suggerimenti che darebbe loro?
Con la preoccupazione di tutti, quella dell’incertezza del loro futuro lavorativo, delle difficoltà che hanno le giovani a progettare un loro futuro, nello stesso tempo con la convinzione che c’è un’altra strada possibile, quella dell’investire, di riconoscerle e valorizzarle, di una società non fondata sulla logica del più furbo e forte, ma sul collettivo, sulla solidarietà, su un’idea del Paese bene collettivo che costruisce il suo futuro. Non è facile indicare una prospettiva positiva, basta guardare la strage continua di donne, il linguaggio, la disoccupazione, ma si può cambiare, si può rideterminare la convinzione collettiva che la libertà delle donne è misura della democrazia e della civiltà di un Paese.
Difficile dare dei suggerimenti, piuttosto una proposta: non rinunciare ai proprio sogni e progetti, mettersi in gioco per cambiare, con le altre.
Nel film “A casa non si torna” le protagoniste svolgono lavori comunemente considerati maschili, duri e faticosi, e tuttavia sono orgogliose del lavoro che fanno. Quanto è importante il lavoro nella realizzazione e per la dignità delle persone?
Il lavoro è fonte, importante, dell’identità delle persone, non è solo autonomia economica, è anche competenza, professionalità, realizzazione, stima di sé, è una conquista, spesso, che si vive appunto con orgoglio del fare “qualcosa” che ti realizza.
In quell’orgoglio c’è il senso di sé, del rispetto verso di te, la tua dignità di persona. Per questo nelle troppe situazioni in cui il lavoro è bistrattato, privato di trasparenza e riconoscimento, di tutele e diritti, di equa retribuzione, in quelle situazioni, non a caso si vive come una sconfitta individuale e collettiva, come un dover fare che non vivi positivamente. Per questo bisogna cancellare l’idea che ci possa essere lavoro povero, umile, i lavoretti; la dignità e l’importanza del lavoro sono nel riconoscere in tutti qualità, utilità, senso, sicurezza, e così c’è dignità, realizzazione, e giustamente orgoglio.