Maria Giudice nacque il 27 aprile 1880 da Ernesto ed Ernesta Bernini a Codevilla, un piccolo paese ai piedi delle colline dell’Oltrepò Pavese situato in provincia di Pavia. Sia il padre, reduce garibaldino, che la madre erano di estrazione piccolo-borghese e di orientamento progressista. Entrambi nel clima dell’Italia post-unitaria, pervaso da mille fermenti e idee nuove, favorirono la libera espressione della personalità di Maria e la madre, in particolare, la indirizzò verso le letture a sfondo sociale. Diplomatasi presso la Regia Scuola Normale di Pavia come maestra si avviò al tirocinio professionale nella vicina scuola elementare di Voghera. L’insegnamento, l’emancipazione, la stessa maternità, la lotta per cambiare il mondo in chiave rivoluzionaria e paritaria si fusero tanto nella sua vita privata quanto in quella pubblica e politica. Aderì precocemente al Partito socialista italiano e perseguì l’ideale socialista dedicandosi alla propaganda fra le contadine, le risaiole e le lavoratrici tessili piemontesi. Nel 1902, giovanissima, divenne Segreteria generale della Camera del Lavoro di Voghera e ancora nel 1902 ebbe anche inizio la sua attività giornalistica a seguito dell’incontro, rilevatosi determinante, con Ernesto Majocchi direttore del periodico socialista “L’uomo che ride” cui la giovane Maria, ironicamente, associò il supplemento “La donna che piange”. Nel 1903, per disposizione del Partito socialista, fu inviata a dirigere la Camera del Lavoro di Borgo San Donino, Comune nei pressi di Fidenza, in provincia di Parma dove si fermò per un tempo limitato di soli pochi mesi e dove, tuttavia, con particolare attivismo, produsse diverse manifestazioni che le costarono due arresti. Tra luglio e agosto dello stesso anno fu anche impegnata in un’ ampia e intensa campagna di propaganda nell’area del biellese e dai giornali dell’epoca risulta aver affrontato i temi più vasti: dalle condizioni di lavoro, alla polemica anticlericale, al ruolo delle donne nelle leghe e nel sindacato. Ne emerge un profilo di lavoratrice instancabile, grande organizzatrice e oratrice. A seguito della condanna a tre mesi e venti giorni ricevuta per l’articolo scritto sulla strage di Ponte della Persica avvenuto la sera del 31 agosto 1903, meglio nota come la strage di Torre Annunziata nella quale sotto il fuoco delle forze dell’ordine erano morti cinque contadini e che Maria aveva pubblicato su “La parola ai lavoratori!”, incinta del primo figlio e per evitare di partorire in carcere, espatriò in Svizzera. Lì incontrò Angelica Balabanoff con la quale condivise un’amicizia duratura fondata su di una visione politica comune sul socialismo e sulla condizione delle donne. In Svizzera ebbe anche occasione di conoscere un giovane Benito Mussolini, anche lui esule. Sua la collaborazione, tra il 1903 e il 1905, al giornale femminile ferrarese “Eva” di Rina Melli e la decisione di fondare, nel 1904, insieme ad Angelica Balabanoff, il giornale “Su compagne!” perseverando nell’idea secondo cui solo attraverso lo sviluppo e la crescita morale e intellettuale delle donne potesse realizzarsi in concreto la pari dignità tra i sessi. Rientrata in Italia nel 1905 riprese l’attività di propaganda a Guastalla e a Novellara, pur oppressa enormemente dai carichi familiari. Risale al 1910 il suo trasferimento in Lombardia a Musocco – Comune aggregato al Comune di Milano dal 1923 – dove trovò lavoro come insegnante elementare, dal quale nel 1913 venne licenziata per divergenze con l’autorità scolastica. Sin dagli esordi contribuì a scrivere con numerosi articoli a “La Difesa delle lavoratrici” il giornale di Anna Kuliscioff nato nel 1912 per il quale curò la rubrica “Posta per Magda” e fu direttrice della testata “La campana socialista”. Ritornata in Piemonte, si stabilì a Borgosesia. Si deve a lei l’organizzazione e la direzione dello sciopero delle operaie tessili della Valsesia del 1914 durato ben 4 mesi. Si trasferì, nel 1916, a Torino dove divenne dapprima Segretaria della Camera del Lavoro, le fu affidata la responsabilità del periodico “Il Grido del popolo” e divenne, infine, anche Segretaria della Sezione provinciale del Partito Socialista torinese. Nell’aspro e articolato conflitto che si andava sviluppando nel Partito Socialista, Maria Giudice fu particolarmente coinvolta nell’esperienza di Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Nel 1917 capeggiò a Torino i moti per il pane che sfociarono, rapidamente, in manifestazioni contro la guerra e fu condannata dal tribunale militare come “disfattista” a scontare tre anni di carcere. Il 21 marzo 1919 giunse per lei l’amnistia e, poco più tardi, fu inviata dal partito in Sicilia con il compito di promuovere l’attività di organizzazione e propaganda nell’isola che svolse dapprima a Palermo, di seguito a Catania dove riversò incessantemente il suo impegno nelle lotte contadine. In Sicilia diresse il giornale “l’Unione” e, anche grazie al contributo prodotto dal suo attivismo, venne delegata al Congresso di Livorno del 1921 per rappresentare la Sicilia orientale. In tale occasione qui sostenne il principio dell’autonomia del partito e, dopo la scissione di Livorno, restò all’interno del Partito Socialista su posizioni intransigenti-massimaliste. Ebbe un ruolo rilevante nella rivolta di Lentini dell’anno 1922 durante la quale fu nuovamente arrestata e accusata di avere istigato ed eccitato all’odio di classe la folla. Fu rilasciata nel 1923, ma sottoposta ad ammonizione e vigilanza come pericolosa sovversiva ancora per diversi anni. Nota antifascista, anche se non attiva nella politica clandestina, dopo oltre due decenni di attività si ritirò a vita privata e nel 1941 si trasferì con la famiglia a Roma; lì, nel 1944 sottoscrisse la fondazione dell’UDI. E’ ancora con Angelica Balabanoff tra i promotori della scissione di Palazzo Barberini che, nel 1947, diede vita al Partito socialista dei lavoratori italiano (PSLI poi PSDI) cui aderì. La tensione verso la libertà e il rifiuto di ogni legame la portò a rifuggire ogni vincolo formale di matrimonio. Con l’anarchico Carlo Civardi di Stradella, morto in guerra nel 1917, condivise un rapporto di “libera unione” dal quale nacquero 7 figli. Altrettanto volle con Giuseppe Sapienza, avvocato siciliano, meglio noto come “l’avvocato dei poveri” che fu suo compagno di vita e di partito e che fu Segretario della Camera del Lavoro di Catania e componente dell’Assemblea Costituente, con il quale ebbe l’ultima figlia Goliarda chiamata così in memoria del figlio di Sapienza – Goliardo - morto pochi anni addietro. Morì a Roma il 5 febbraio 1953. E’ considerata una delle più rilevanti figure del massimalismo socialista e della sua espressione di tale tendenza nella CGdL.