Pubblichiamo di seguito la presentazione di Anna Salfi al volume “La Contessa delle Valli – Dedicato a Renata Viganò” che racchiude l’intera esperienza condotta dalla Brigata Viganò, sotto la direzione di Tiziana Roversi e in collaborazione con l’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e con il sostegno di istituzioni storiche, sociali e culturali.
Renata Viganò, quella scrittura che lascia il segno
Qualche giorno fa, inaspettatamente, mi è stato fatto dono di un libricino snello che portava con sé il segno di un tempo trascorso dal titolo “Donne della Resistenza”.
Attratta da contenuto, mi era sfuggito il nome di chi l’avesse scritto. Al termine della lettura l’ho richiuso con cura e solo allora ho notato che ne era autrice Renata Viganò. Strane coincidenze della vita.
Dopo aver partecipato all’inedita ed entusiasmante esperienza del Progetto della “Bambola brutta” realizzato dalla “Brigata Viganò”, il caso mi aveva regalato l’occasione di apprezzare lo stile immediato e asciutto con il quale Renata aveva ricordato, a dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale, alcune delle donne che avevano pagato con dolore e morte l’aver partecipato alla Resistenza partigiana.
A dieci anni dal termine della guerra con parole semplici, dirette Renata era riuscita a dipingere i profili di alcune partigiane consegnandoci un ricordo vivissimo di quei giorni e di quelle vite senza indulgere a commenti retorici o celebrativi. Donne morte “per rifare la faccia pulita dell’Italia” le aveva definite giustamente Renata.
Leggendo quelle pagine sono riuscita a vivere tutto il mondo di allora, quello della Resistenza guerreggiata, ma anche quello della Resistenza silenziosa e di una resilienza diffusa priva di orpelli eroici e piena di dolore, di passione, di aneliti di libertà.
La vita, le vite delle donne e il loro racconto sono straordinariamente adatte a definire con precisione un contesto. Lo avevamo già percepito nello svolgersi del Progetto “Profili biografici di sindacaliste emiliano-romagnole 1880-1980” curato dalla Fondazione Argentina Bonetti Altobelli. Sarà perché da sempre il confine tra il pubblico e il privato è sempre stato per le donne assai labile, quasi inesistente. Sarà perché, per tutti, la stagione della dittatura fascista e della Resistenza poi, aveva infranto i confini tra ciò che poteva essere pubblico e ciò che era privato.
Ma il libro di Renata raccontava anche molto di lei e della sua scrittura che voleva lasciare il segno. Il segno di ciò che era stato perché non fosse dimenticato e non si avesse a ripetere. Uno stile intriso di realtà e di vero.
Molte donne di quel periodo, molte prime, tante dopo, hanno voluto scrivere. Donne che scrivono perché danno rilievo alla cultura. Lo facevano con intento emancipazionista quando il tasso di analfabetismo era tale di ledere la concreta esigibilità di diritti fondamentali, lo ha fatto Renata in ossequio a quelle donne violate, torturate e uccise in una battaglia per la loro e l’altrui libertà. Lo fanno ancora tante donne oggi, in risposta a chi contesta il valore della cultura perché ne considera scarso l’aspetto economico. Guai a chi lo pensi e guai a chi accetti di accondiscendere e assecondare tale pensiero.
Un Paese senza cultura è un Paese senz’anima e i suoi sono figli nati già orfani. Con la cultura non si mangia? No, con la cultura si vive! E allora grazie a Renata per questo aspetto importante ma non unico della missione che ha svolto anche per noi e grazie alla ridente, entusiasta e bella “Brigata Viganò” che, sotto la sapiente guida di Tiziana Roversi ha saputo regalarci un’esperienza eccezionale e una grande speranza nel futuro.
Anna Salfi
Presidente della Fondazione Argentina Bonetti Altobelli
Bologna 10 novembre 2018