Andrea Costa (Imola, 29 novembre 1851-Imola, 19 gennaio 1910) fu uno dei fondatori del socialismo italiano. In giovinezza aderì all’anarchismo bakuniano e fu tra i fondatori della sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori. Arrestato a più riprese per attività rivoluzionaria, passò diversi anni in carcere e in esilio, sia in Francia che in Svizzera. Proprio in Svizzera conobbe Anna Kuliscioff, che fu sua compagna per alcuni anni e dalla quale ebbe la figlia Andreina nel 1881. Durante l’esilio, Costa si allontanò dall’impostazione anarchica con la famosa lettera “Ai miei amici di Romagna“, nella quale motivò la sua adesione a posizioni più riformiste.
Collaborò a periodici e riviste di carattere politico, tra cui “Fascio operaio”, “La plebe”, “Il martello”. Il primo maggio del 1880 fondò con i socialisti de “La plebe” la “Rivista internazionale del socialismo”, la cui pubblicazione fu interrotta dopo pochi mesi; nell’aprile del 1881 fondò ad Imola il settimanale socialista “’Avanti!…”, la cui redazione venne trasferita a Roma nel 1884. Fu corrispondente per “Il Messaggero”.
Nel 1882 fu eletto primo parlamentare socialista alla Camera dei deputati. Nel 1892 fu eletto presidente del Primo congresso socialista nazionale, aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani nel 1893. A Imola fu presidente della Congregazione di carità. Nel 1909 fu eletto vicepresidente della Camera dei deputati.
La vita di Andrea Costa anno per anno
1851 Andrea Costa nasce a Imola.
1871 Si avvicina alla politica, arrivando in fretta ai vertici del movimento anarchico italiano d’ispirazione bakuniniana.
1874 fu arrestato a Imola per aver organizzato un’insurrezione di internazionalisti anarchici.
1878 Espatria in Svizzera e successivamente in Francia, a Parigi, dove fu arrestato di nuovo e condannato a due anni di prigione.
1879 Esce dal carcere e si trasferìsce in Svizzera, a Lugano. Qui scrive la lettera intitolata “Ai miei amici di Romagna“, in cui indica la necessità di una svolta tattica del socialismo, che doveva passare dalla «propaganda per mezzo dei fatti» a un lavoro di diffusione di princìpi, che non avrebbe presentato risultati immediati, ma avrebbe ripagato sul medio periodo. La lettera fu pubblicata da “La Plebe”, organo della “Federazione Alta Italia dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori”.
1881 In agosto fonda a Rimini il «Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna». Partecipa alla fondazione del settimanale Avanti!
1882 Si candida alla Camera, nei collegi di Imola e di Ravenna e viene eletto a Ravenna, diventando così il primo deputato di idee socialiste nel parlamento italiano.
1883 Per coordinare l’opposizione delle sinistre, fonda il Fascio della democrazia insieme a Giovanni Bovio e Felice Cavallotti. Viene iniziato Massone il 25 settembre, nella Loggia Rienzi di Roma. In seguito ricoprirà la carica di Grande Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia.
1889 Il Tribunale di Roma lo condanna a tre anni di reclusione per “ribellione alla forza pubblica”, a seguito dei disordini scoppiati durante una manifestazione in memoria di Guglielmo Oberdan.
1890 Viene condannato, sempre per “ribellione”, per aver partecipato a Roma alle agitazioni degli operai edili.
1892 Alleato e contemporaneamente critico del Partito Operaio Italiano e di Filippo Turati, partecipa al Congresso di Genova, in cui tutte le forze socialiste si unificarono nel «Partito dei Lavoratori Italiani» (dal 1895 Partito Socialista Italiano).
1897 Si schiera apertamente contro l’impresa coloniale italiana in Africa. Nel corso del vivace dibattito parlamentare seguito al massacro di Dogali, conia la parola d’ordine “né un uomo né un soldo”.
1898 E’ tra i promotori della tragica protesta dello stomaco di Milano, repressa a cannonate da Bava Beccaris; arrestato con altri esponenti socialisti, la Camera dei deputati negherà l’autorizzazione a procedere ed egli verrà liberato.
1908 Diviene vicepresidente della Camera dei deputati, carica che manterrà fino alla morte.
1910 Muore a Imola, sua città natale, all’età di 59 anni.Nel corso della sua commemorazione presso l’Università di Bologna, il compagno e amico Giovanni Pascoli dirà di lui:
« Considerate la condizione d’ora degli operai è paragonatele a quella d’allora; vedete quanto industriarsi è affannarsi insolito di legislatori intorno al lavoro! Quanti diritti riconosciuti al popolo! Quanti doveri assunti o almeno confessati dallo Stato! Tutto questo progresso si deve, per gran parte, a quel nostro compagno di scuola. Benedetto! »
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