Donne e sindacato nell’Emilia Rossa (1945-1980), di Eloisa Betti

immagine_BettiQuesto paper indaga il ruolo delle sindacaliste della Cgil nella seconda metà del XX secolo, focalizzando l’attenzione sul caso dell’Emilia-Romagna. Fornendo informazioni di carattere storico e metodologico, il paper intende contestualizzare le biografie delle sindacaliste pubblicate nel database.

This paper investigates the role of Cgil female trade unionists in the second half of the 20th century, focusing on the case of the Emilia-Romagna Region. By providing historical and methodological information it aims to contextualize the female trade unionists’ biographies published in the database.


1. Il contesto storico

L’analisi delle biografie femminili nel secondo Novecento appare di particolare importanza non solo per ricostruire il rapporto tra donne e sindacato, ma anche per leggere le trasformazioni più generali del sindacato stesso in un contesto peculiare come l’Emilia-Romagna, definita “Emilia Rossa” nel periodo considerato proprio per la preminenza delle organizzazioni politico-sindacali di sinistra come Pci, Psi e Cgil. Attraverso lo studio dei percorsi individuali delle sindacaliste è possibile comprendere la penetrazione o l’impermeabilità dell’organizzazione sindacale alle idee emancipazioniste prima e ai nuovi paradigmi legati al neo-femminismo poi, nonché il mutamento delle strutture sindacali espressamente deputate a occuparsi della “condizione femminile”.
Il secondo Novecento fu il periodo in cui il sindacato conobbe il maggior sviluppo sia sul piano quantitativo sia per ciò che concerne le categorie socio-professionali organizzate, che arrivarono a comprendere, ad esempio, gli insegnanti, con la creazione del Sindacato scuola all’inizio degli anni Settanta. Si tratta anche di un periodo di grandi cambiamenti tanto sul piano della struttura organizzativa – ad esempio la creazione delle strutture regionali tra gli anni Sessanta e Settanta – quanto delle forme della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro – si pensi al passaggio dalle Commissioni interne ai Consigli di fabbrica.
Un rinnovato rapporto tra donne e sindacato fu indubbiamente uno dei fattori di mutamento rispetto al periodo fascista e al primo Novecento, che s’imposero sulla scena fin dall’immediato dopoguerra e che erano rintracciabili nella stessa struttura organizzativa della Cgil, qui presa in esame come caso di studio privilegiato. All’istituzione della Commissione consultiva femminile a livello nazionale corrispose la creazione di analoghe strutture locali all’interno delle Camere del Lavoro e delle principali categorie dell’industria e dell’agricoltura. Queste strutture ufficialmente avevano solo un ruolo consultivo nell’ambito delle organizzazioni di riferimento e venivano ritenute da alcune funzionarie strutture marginali, poiché alla base della scelta di istituirle vi era la consapevolezza che la condizione femminile rappresentasse “un mondo a parte”, implicitamente più arretrato. Nonostante ciò, come emerge dal caso emiliano-romagnolo, la loro istituzione appare cruciale per la formazione di nuovi quadri femminili all’interno del sindacato post-bellico.
L’Emilia-Romagna è un osservatorio privilegiato per analizzare il rapporto tra donne e sindacato, per via del contributo di primo piano dato dalle donne alla ricostruzione dell’organizzazione sindacale nel secondo dopoguerra. La regione nel suo complesso, e alcune province in particolare, mostravano i tassi di sindacalizzazione femminile più elevati d’Italia, soprattutto per quanto riguarda i sindacati legati all’agricoltura come la Federbraccianti. Non può dunque stupire che le commissioni femminili emiliano-romagnole (es. Bologna, Modena) svolsero un ruolo fondamentale nell’analisi della condizione sociale e lavorativa della donna, e nell’elaborazione di rivendicazioni specifiche, come testimoniato anche dall’ampia documentazione prodotta.
L’attenzione dedicata da queste commissioni al lavoro femminile e agli altri aspetti della condizione sociale della donna, non dipese solo dal fatto che esse dovevano istituzionalmente occuparsi di questi temi, ma anche dal fatto che in Emilia-Romagna queste strutture erano dirette  da funzionarie generalmente impegnate a tutto tondo sul tema dell’emancipazione della donna. La “doppia militanza” di queste funzionarie e il fatto che molte di esse avessero una storia resistenziale o di anti-fascismo alle spalle sembra aver prodotto un maggior sincretismo e spirito collaborativo tra le varie strutture appartenenti al milieu politico-culturale di sinistra, oltre alla Cgil quindi anche il Pci e l’Udi, che in Emilia si occupavano delle condizioni sociali delle donne, nonché le stesse amministrazioni comunali e provinciali. Il passaggio di quadri femminili tra Pci, Cgil e Udi era particolarmente frequente proprio per quelli emiliani, che spesso venivano anche dislocati in altre regioni d’Italia o spostati presso le sedi nazionali.
Una nuova generazione di sindacaliste, quindi, entrò a far parte delle strutture sindacali delle Camere del Lavoro, delle federazioni di categoria e, in misura minore, degli organi dirigenti della Cgil nazionale. Proprio le Commissioni femminili furono le prime strutture dove queste sindacaliste si trovano a operare, svolgendo contemporaneamente più incarichi: come responsabili delle questioni femminili e come funzionarie di categorie. Si tratta di gruppo ristretto di sindacaliste, la cui importanza non può essere sottovalutata sul piano formale, sostanziale e simbolico. La presenza femminile non rappresentava più un’eccezione ma divenne, seppur con lentezza, elemento costitutivo dell’organizzazione sindacale nell’Emilia-Romagna post-bellica.
Vari studi promossi a partire dalla fine degli anni Novanta hanno messo in luce i limiti del rapporto tra donne e movimento operaio tra Otto e Novecento, alla luce dei quali è possibile leggere anche nel secondo Novecento la difficile penetrazione delle istanze femminili in una struttura organizzativa di impronta maschile come il sindacato. Questo filone di studi ha evidenziato come alla base del problematico rapporto tra donne e sindacato vi fosse la scarsa partecipazione politica femminile, che si traduceva in una scarsa adesione al sindacato. Questi paradigmi interpretativi non sembrano tuttavia applicabili al caso emiliano.
La cosiddetta Emilia Rossa mostrava una partecipazione politica femminile molto elevata, contestualmente a una altrettanto elevata presenza femminile nel lavoro retribuito tanto nelle campagne quanto nelle fabbriche. Negli anni del boom economico, in Emilia-Romagna le donne arrivarono a costituire, eccezionalmente rispetto al contesto nazionale, quasi un terzo dell’intera forza lavoro industriale, con una crescita superiore al 60% rispetto agli anni Cinquanta. Sul piano della partecipazione alla sfera pubblica, nella maggior parte delle province dell’Emilia-Romagna l’impegno femminile non scemò dopo il periodo di grande mobilitazione degli anni 1945-1948, continuando a essere oltremodo significativo per tutti gli anni Cinquanta, come attestano i livelli di sindacalizzazione, iscrizione ai partiti politici e alle associazioni femminili.
Proprio negli anni del boom economico, le donne emiliane conquistarono uno spazio politico maggiore all’interno delle organizzazioni di massa, dei partiti e del sindacato, grazie al quale poterono incidere direttamente sull’azione politica relativamente ai problemi femminili. Le commissioni femminili dall’immediato dopoguerra rimasero in funzione fino ai primi anni Sessanta, quando all’interno della Cgil venne creato l’Ufficio lavoratrici, un ufficio confederale non elettivo, affiancato da una Consulta centrale a cui partecipano sia militanti di base che donne dirigenti di varie categorie. Strutture analoghe dovevano essere create a livello locale, per quanto resti da verificare nei singoli contesti territoriali il reale impatto dei cambiamenti organizzativi determinati dal passaggio dalle commissioni femminili agli uffici lavoratrici soprattutto per ciò che riguarda il numero di funzionarie sindacali.
L’aspetto generazionale è particolarmente importante nello studio dei profili biografici delle sindacaliste attive nel secondo Novecento: nell’ambito delle strutture sindacali dell’immediato dopoguerra si creò una forte sinergia tra donne di generazioni diverse, che nell’avvicendarsi proprio all’interno delle commissioni femminili si trasmisero saperi, dando luogo ad una sorta di genealogia femminile che, come dimostra l’arco cronologico del progetto, è di più lungo periodo.
Tra il 1945 e gli anni 1980/90, si sono avvicendate almeno tre diverse generazioni di sindacaliste, il cui incontro con l’impegno politico e la militanza sindacale avvenne in periodi storici molto diversi: le prime erano le antifasciste e soprattutto le resistenti. La seconda generazione è quella delle nate nel corso degli anni Trenta, che entrarono al sindacato generalmente molto giovani nel corso degli anni Cinquanta. La terza generazione presa in esame è quella delle nate negli anni Quaranta e che si affacciarono sulla scena politica a ridosso del 1968. Quest’ultima generazione è indubbiamente quella più numerosa sul piano quantitativo.
Gli anni Settanta furono anche gli anni in cui il rapporto tra donne e sindacato si fece più complesso e conflittuale con la critica radicale che venne portata, sotto la spinta dei paradigmi teorici del neo-femminismo, al sindacato come struttura maschile. L’Ufficio lavoratrici stesso fu oggetto di critica negli anni Settanta e vi furono vari tentativi volti a superare questa struttura. Tra questi possiamo citare la nascita di strutture spontanee in diverse città italiane, Torino in primis, come l’Intercategoriale donne, nonché i Coordinamenti donna tra cui spiccano per longevità il Coordinamento donne Flm.

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2. Il “mestiere” di sindacalista nel secondo Novecento: una definizione aperta

Nel secondo Novecento quello del sindacalista divenne sempre più un “mestiere”, grazie all’ampliamento della struttura sindacale e alla sua crescente complessità organizzativa, che nel periodo considerato arrivò a definire precise gerarchie interne e chiari meccanismi per l’ingresso degli attivisti/delegati ai differenti livelli dell’organizzazione. Nonostante ciò, proprio la capillare diffusione di strutture sindacali, tra cui in primis le Camere del Lavoro comunali e di zona, rende assai complesso definire il “sindacalista” e ancora più “la sindacalista”. Soprattutto nel primo decennio post-bellico, il confine tra “attivista” e “funzionario sindacale” è quanto mai poroso e labile. Nell’ambito del progetto, per il secondo Novecento si è deciso di focalizzare l’attenzione sulle “funzionarie sindacali”, intendendo con tale definizione quelle donne che hanno svolto attività sindacale presso la sede dell’organizzazione sindacale (es. Camera del Lavoro, Lega, ecc..), ricevendo da quest’ultima un compenso per il lavoro svolto.
La ricerca ha tuttavia messo in luce numerosi casi in cui le donne che svolgevano attività sindacale presso strutture locali (Camere del Lavoro comunali, rionali e/o leghe), pur avendo incarichi e responsabilità definiti (es. responsabile della Commissione femminile) spesso non ricevevano alcun compenso da queste strutture, ragione per la quale all’attività sindacale associavano spesso lavori saltuari o part-time. Un ulteriore elemento di complessità nella definizione di sindacalista è la relazione tra attività politica e attività amministrativa, elemento ricorrente nei profili biografici delle sindacaliste entrate a far parte della Cgil nell’immediato dopoguerra. Proprio le donne venivano spesso reclutate all’interno del sindacato per assolvere a svariati compiti, sia inerenti la segreteria e l’amministrazione della struttura che legati all’attività politica nei confronti delle altre donne, ricoprendo di frequente ruoli all’interno delle commissioni femminili.
Va anche segnalato che soprattutto per il periodo 1945-1955, vi furono vari casi di donne che svolsero attività sindacale come funzionarie per un periodo limitato, legato a specifiche contingenze, tornando nel luogo di lavoro d’origine o cercando un nuovo impiego al termine dell’esperienza, solitamente durata pochi anni. Questo aspetto complica ulteriormente la definizione di “sindacalista”, poiché l’attività sindacale appare una parentesi di un più ampio percorso lavorativo giocato in ambiti diversi. Speculare appare la situazione di quelle donne che hanno intrecciato la loro attività di “sindacalista” ad altre attività di tipo politico-amministrativo, ricoprendo incarichi in partiti politici (Pci, Psi), associazioni femminili (Udi), enti locali (comuni, province, regioni). In questi ultimi casi, nella biografia di queste donne la ricostruzione del loro percorso sindacale è necessariamente intrecciata agli altri incarichi da esse ricoperti.
L’evoluzione della struttura sindacale negli anni Sessanta, con la creazione di strutture di coordinamento a livello regionale che arriverà a compimento all’inizio degli anni Settanta con l’istituzione della Cgil Emilia-Romagna, portò l’organizzazione a interrogarsi sulla sua composizione interna e ad auto-definire i suoi membri attraverso precise categorie. Il censimento effettuato alla fine degli anni Sessanta dal Comitato regionale della Cgil Emilia-Romagna utilizzava i termini: “funzionario”, “attivista”, “impiegata” per definire i vari ruoli presenti all’interno delle strutture sindacali. Dall’analisi delle numerose schede raccolte in occasione del censimento emerge chiaramente come le donne all’interno del sindacato fossero molte più delle sole “sindacaliste”: il censimento svela la presenza di numerose “attiviste” e “impiegate”. Il passaggio da “attivista” a “funzionario”, elemento cruciale nelle biografie delle sindacaliste esaminate, era un passaggio tutt’altro che scontato per le donne, che negli anni Settanta apparivano ancora sotto-rappresentate tra le funzionarie sindacali. Ciò emergeva a chiare lettere anche dagli elenchi dei Comitati direttivi delle varie categorie, nei quali la presenza femminile, anche nelle categorie più femminilizzati come il tessile-abbigliamento, l’alimentare, il commercio, era sì significativa ma soltanto grazie alla presenza delle delegate sindacali piuttosto che delle funzionarie.

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3. Scrivere le biografie delle sindacaliste emiliano-romagnole: fonti documentarie e memoria storica

Scrivere le biografie delle sindacaliste emiliano-romagnole nel secondo Novecento, implica di confrontarsi con una pluralità di fonti non solo documentarie. La ricerca, effettuata negli archivi storici che compongono la Rete archivi Cgil Emilia-Romagna e negli archivi nazionali della Cgil e della Flai, ha evidenziato una serie di nodi da affrontare rispetto alla presenza femminile in questo tipo di archivi e quindi alla possibilità di ricostruire i profili biografici a partire dalle carte in essi conservate.
Innanzitutto, la conservazione dei documenti delle strutture femminili (es. Commissioni femminili, Ufficio lavoratrici, Coordinamenti donna), appare frammentaria ed eterogenea per la stessa natura di alcune di queste strutture, a partire dalla Commissione femminile nazionale, intesa come organo consultivo. Numerose le carte prodotte da queste strutture che sono state conservate grazie all’impegno di singole sindacaliste, ma che sono state depositate in archivi non sindacali, tra cui archivi personali e archivi di altre associazioni e organizzazioni. Lo scambio di documentazione tra archivi della Cgil, archivi del Pci e archivi dell’Udi appare particolarmente frequente in Emilia-Romagna, per via della “doppia” o “tripla” militanza delle sindacaliste.
Un ulteriore elemento di complessità è l’opacità del linguaggio che contraddistingue molte fonti sindacali: l’utilizzo di espressioni al maschile per riferirsi tanto a uomini che donne (es. funzionario, attivista) se associate all’utilizzo del solo cognome rendono spesso impossibile identificare la presenza delle donne all’interno dell’organizzazione. Ciò può rendere particolarmente complessa la decifrazione degli elenchi degli organismi direttivi, spesso gli unici a riportare chiaramente i nomi delle sindacaliste/i associati alle cariche ricoperte.
La ricerca mira non solo a scrivere le biografie delle sindacaliste più note e che sono già state oggetto di ricostruzione storica, ma soprattutto a indagare quelle figure di donne comuni che hanno costruito l’ossatura della Cgil nel territorio emiliano-romagnolo. Dato che molte delle sindacaliste attive nel secondo Novecento provenivano dalla classe operaia e contadina, approdando al sindacato direttamente dalle fabbriche o dalle campagne, hanno raramente lasciato dietro di sé depositi documentari di qualche entità (corrispondenze, fondi personali, scritti autobiografici), se si eccettuano alcuni casi di sindacaliste emiliano-romagnole che hanno ricoperto ruoli di primo piano a livello nazionale. Anche per quest’ultime, tuttavia, i fondi personali sono esigui.
Di particolare importanza per la ricostruzione dei profili di sindacaliste emiliano-romagnole è quindi la memoria storica dell’organizzazione sindacale, importante fonte d’informazioni per “scrivere” le biografie delle sindacaliste e strumento principe per l’analisi della soggettività nell’esperienza di sindacalista. A partire dagli anni Novanta, alcuni importanti progetti promossi dalla Cgil e dallo Spi, in collaborazione con le rispettive fondazione storico-culturali e archivi, hanno dato origine a veri e propri fondi di fonti orali e pubblicazioni, oggi preziose per la ricostruzione dei profili biografici suddetti. Le fonti orali per le sindacaliste del secondo Novecento sono spesso le uniche testimonianze di un percorso sindacale pluridecennale.
Per tale ragione all’interno del progetto sono stati pensati vari strumenti per la raccolta della memoria storica dell’organizzazione, un questionario di raccolta dati, interviste collettive e focus group, interviste individuali. Questi strumenti saranno importanti per il completamento delle biografie già individuate e per l’individuazione di nuovi profili.

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Nota bibliografica di riferimento

Eloisa Betti, Tra lavoro e welfare: il contributo femminile alla costruzione del modello emiliano in Carlo De Maria (a cura di), Il modello emiliano nella storia d’Italia. Tra culture politiche e pratiche amministrative, Bologna, BraDyPus, 2014.

Sandra Burchi, Fedele Ruggeri (a cura di), Noi e la CGIL, Roma, Ediesse, 2010.

Maria Casalini, Gender and Class. Storia delle donne e movimento operaio nel Novecento, “Italia contemporanea”, 218, 2000.

Elisa Castellano (a cura di), Gli archivi storici, le biblioteche e i centri di documentazione della CGIL, Roma, Ediesse, 2015.

Giovanna Cereseto, Anna Frisone, Laura Varlese, Non è un gioco da ragazze. Femminismo e sindacato: i coordinamenti donne FLM, Roma, Ediesse, 2009.

Gloria Chianese (a cura di), Mondi femminili in cento anni di sindacato, Roma, Ediesse, 2008.

Simona Lunadei, Lucia Motti, Maria Luisa Righi (a cura di), «È brava, ma…» donne nella Cgil 1944-1962, Ediesse, Roma, 1999.

Lucia Motti, Donne nella CGIL: una storia lunga un secolo. 100 anni di lotte per la dignità, i dirittti e la libertà femminile, Roma, Ediesse, 2006.

Elisabetta Palumbo, Se otto ore vi sembrano poche. Donne nel sindacato agricolo in Italia (194-1977), Roma, Ediesse, 2012.

Adolfo Pepe (a cura di), Storia del sindacato in Italia nel ’900, Roma, Ediesse, voll. III e IV

Ilaria Romeo, Donne nella CGIL. Una storia lunga un secolo. Cento anni di lotte per la dignità, i diritti e la libertà femminile, saggio inedito.


Eloisa Betti ha ricostruito le biografie di:

Barbieri Vanda (1926-)

Barbolini Norma (1922-1993) - scheda elaborata con Simona Salustri

Bartolai Wanda (1928-)

Bassi Maria (1925-1999)

Bignardi Assunta (1926-)

Bitelli Albertina (1922-)

Bonacini Silvana (1931-2012)

Branchini Liviana (1948-)

Bursi Roberta (1947-)

Campari Ramona (1952-)

Carretti Amabile (1951-)

Casari Adelia (Emma-Nigrén) (1919-2013) – scheda elaborata con Simona Salustri

Caselgrandi Nadia (1952-)

Castellazzi Milena (1949-)

Cilloni Ermina (Mina) (1952-)

Dal Monte Vittorina (1922-1999) - scheda elaborata con Simona Salustri

Debbi Giovanna (1931-)

Degli Esposti Edgarda (1948-)

Farneti Ariella (1921-2006)

Ficarelli Beatrice (Nina) (1931-)

Fini Anna (1933-)

Galli Ughetta (1946-)

Gelosini Vanna (1955-)

Gessi Nives (1923-1994)

Grazia Jordis (Lola) (1926-2003)

Graziani Loredana (1950-)

Gualandi Irea (1924-)

Iori Carla (1948-)

Iori Paola (1946-2017)

Leonelli Dolores (1954-)

Lodi Adriana (1933)

Lotti Emilia (1930-)

Luciani Cristina (1949-)

Malavasi Anita (1921-2011) - scheda elaborata con Simona Salustri

Marchi Rosa (1919-2007)

Marchini Mirna (1952-)

Martinelli Sara (1930-2003)

Martini Laura (1945-)

Mattioli Cosetta (1936-)

Mazzolini Ada (1921-2008)

Messori Cadies (1948-)

Milanese Isabella (?-2014)

Minardi Bruna (1934-)

Negrini Bruna (1934-)

Pacchioni Aude (Mimma) (1926-)

Pedrini Renata (1924-)

Perazzi Monica (1958-)

Pesci Recilia (1924-)

Pondrelli Novella (1911-2009) - scheda elaborata con Simona Salustri

Prandi Nella (1924-2006)

Raboni Clelia (1941-)

Rivi Nerina (1932-)

Ruffilli Erica (1940-2016)

Sabbi Diana (1922-2005) - scheda elaborata con Simona Salustri

Selleghini Cosetta (1952-)

Sgarbi Luciana (1930-2016)

Tabanelli Giovanna (1927-2005)

Tosi Maude (1950-)

Turtura Donatella (1933-1997)

Vecchi Luana (1933-)

Vezzani Livia (1919-?)

Zocca Gabriella (1926-) – scheda elaborata con Simona Salustri