COGNOME | Malavasi |
NOME | Anita |
DATA DI NASCITA | 21/05/1921 |
LUOGO DI NASCITA | Quattro Castella (RE) |
DATA DI MORTE | 28/11/2011 |
LUOGO DI MORTE | Reggio Emilia |
STATO CIVILE | nubile | TITOLO DI STUDIO | Licenza elementare |
PROFESSIONE | contadina; barista e cameriera |
APPARTENENZA POLITICA | comunista |
ISCRIZIONE A UN PARTITO | Partito comunista italiano |
ORGANIZZAZIONE SINDACALE | Cgil: Federazione operai tessili; Federazione lavoratori dell'abbigliamento; Federbraccianti; Federmezzadri |
LUOGHI DI ATTIVITÀ | Reggio Emilia |
PROFILO BIOGRAFICO Anita Malavasi nacque nel 1921 a Quattro Castella (RE) da una famiglia contadina antifascista di tradizione socialista che dava particolare importanza alla cultura. I nonni paterni infatti avevano avuto la possibilità di studiare ed avevano trasmesso questi valori al padre di Anita e a lei direttamente. Le limitate capacità economiche della famiglia, tuttavia, le impedirono di continuare gli studi dopo la licenza elementare, una possibilità che secondo la cultura patriarcale dell'epoca venne riservata ai due fratelli maschi. Anita, fin da piccolissima, fu impiegata nei lavori agricoli, attività che continuò a tempo pieno dopo gli studi. Il padre non la iscrisse alle organizzazioni fasciste e per questo motivo Anita non si vide riconosciuti alcuni meriti scolastici, cosa che visse come un'ingiustizia immotivata e che ha ricordato come uno dei primi fatti che la portarono a maturare una avversione al fascismo. Nel 1938, Anita si trasferì a Reggio Emilia, in un quartiere operaio frequentato dai lavoratori delle Officine Reggiane e di altre fabbriche cittadine. Lì entrò in contatto diretto con una realtà molto diversa da quella contadina fino ad allora conosciuta e si avvicinò agli ideali socialisti e comunisti. Nei primi anni del conflitto bellico, la lettura della corrispondenza dei soldati italiani di stanza all'estero la rese consapevole della gravità di quanto stava accadendo; altri momenti decisivi furono la caduta del fascismo e gli scioperi del luglio 1943, repressi dall'autorità. Dopo l'armistizio dell'8 settembre Anita si prodigò per aiutare i soldati sbandati e subito dopo entrò nella Resistenza con il nome di battaglia Laila. La sua adesione fu spontanea, non dettata da una reale preparazione politica che acquisì solo in seguito. Inizialmente fu attiva come staffetta, trasportando armi da Reggio Emilia all'Appennino, successivamente, temendo di essere stata individuata, si spostò stabilmente in brigata nella 144ª Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci". Anita fu una delle non numerose partigiane combattenti in armi e grazie alle sue qualità fu nominata comandante di distaccamento; alla fine della guerra le fu riconosciuto il grado di sergente maggiore. Il suo ruolo nella Resistenza e l'acquisita consapevolezza della parità fra uomini e donne furono cruciali per la maturazione della sua coscienza politica e anche per il raggiungimento di un elevato livello di autonomia personale che la portò a contestare la cultura patriarcale e maschilista dell'epoca, non senza ripercussioni sul piano personale: quando il fidanzato che non accettava il suo impegno nella Resistenza le disse che non sarebbe stata degna di essere la madre dei suoi figli, Anita ruppe il fidanzamento che durava da 5 anni e, dopo che fu ucciso il giovane partigiano di cui si era innamorata perché ne condivideva gli ideali, non si sposò. Nell'immediato dopoguerra, Anita scelse di non proseguire il lavoro nel bar-ristorante che la sua famiglia aveva acquistato dopo essersi trasferita a Reggio Emilia, e nel quale lei aveva lavorato prima e durante il conflitto. Decise infatti di dedicarsi completamente all'attività politica tra le fila del Partito comunista. Inizialmente, si dedicò alla costruzione delle cellule femminili nella zona dove abitava, divenendo successivamente responsabile della Commissione femminile del Pci reggiano. Tra il 1945 e il 1946, si impegnò in particolare nella campagna elettorale, organizzando comizi e riunioni di caseggiato per portare le donne alle urne. In quel periodo, frequentò un corso presso la scuola di partito del Pci, in seguito al quale passò al sindacato, come responsabile della Commissione femminile della Camera del Lavoro di Reggio-Emilia. Nella seconda metà degli anni Quaranta, Anita si impegnò per l'approvazione e applicazione della legge sulla maternità, occupandosi dei problemi delle lavoratrici madri reggiane e in particolare della mancanza di asili nido. Fu in prima fila nell'organizzazione degli scioperi contro i licenziamenti nelle fabbriche cittadine a elevata manodopera femminile, come la Bloch, e si impegnò nell'organizzazione della prima Conferenza delle lavoratrici reggiane. Nel 1948, Anita divenne la prima donna Segretario generale dei tessili reggiani, occupandosi in particolare dei numerosi calzifici presenti nella provincia. Prese parte all'unificazione del sindacato dei tessili e dell'abbigliamento, che portò alla nascita della Filtea, continuando a svolgere attività sindacale per la nuova categoria fino al 1968. Tra le molte questioni di cui si occupò, la battaglia per la parità salariale e quella sul lavoro a domicilio, ebbero un ruolo centrale. Come sindacalista, si trovò in prima fila ad affrontare gli eventi che nel luglio 1960 insanguinarono Reggio Emilia e dai quali, come emerge da una delle sue memoria, rimase particolarmente colpita. In quello stesso anno, pur continuando a svolgere attività sindacale, venne eletta in Consiglio comunale nel capoluogo reggiano, rimanendovi per due successivi mandati fino al 1970. Conclusa la sua esperienza nel tessile-abbigliamento, continuò la sua attività sindacale presso la Federbraccianti e la Federmezzadri, come componente delle rispettive Segreterie provinciali. Anita fu molto attiva anche nell'Anpi, fece parte del Consiglio nazionale e del Coordinamento femminile e collaborò con l'Istoreto di Reggio-Emilia per la promozione dei viaggi della memoria. Si spense a Reggio Emilia nel novembre 2011. |
FONTI E BIBLIOGRAFIA
Fonti archivistiche
Fonti iconografiche
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